04 Prodromi

Da «Brasile Mamma Gentile» ai primi Antichi

VENERDÌ 12 dicembre 1980: Paolo Zancopè, Aldo Bon, Edoardo Andreotti Loria, Judith Souza Bomfim e Mario Stefanelli sono riuniti a cena nella casa che diventerà culla, fulcro e base de I Antichi. Seduti a tavola tra posate d’argento e bicchieri del settecento, costituiscono un comitato promotore senza fini di lucro, allo scopo di «incrementare il Carnevale di Venezia con manifestazioni culturali, feste ecc.»; il gruppo «sarà chiamato Comitato Promotore per il Carnevale di Venezia, Compagnia de Calza I Antichi». Come era già per le antiche Compagnie de Calza, il comitato «si riunirà due mesi prima di ogni Carnevale e dovrà sciogliersi un mese dopo. L’opera degli aderenti è gratuita e la partecipazione volontaria».

I quattro amici, più la morosa brasiliana di Zancopè, sono i più determinati di un folto gruppo di veneziani che negli anni più cupi del Carnevale di Venezia, proibito dalla legge e avversato dai costumi del tempo, continuano a mascherarsi e divertirsi quasi clandestinamente. Ogni Carnevale, mentre gli italiani si avviliscono negli Anni di Piombo, nel Compromesso Storico, nelle Lotte Sindacali, nella Guerra Fredda e nella Contestazione Studentesca, indossano maschere e costumi e se ne vanno a Burano, l’isola variopinta della Laguna Nord dove rimane ancora vivo il piacere del divertimento.

Ma Paolo Emanuele Zancopè, pur essendo stato rivoluzionario in Sud America, organizzatore di feste studentesche a Rio de Janeiro, studente della scuola di guerriglia a Cuba, ha un’indole pigra e analizzando analiticamente il viaggio fino a Burano, dove in febbraio soffia spesso una bora glaciale che spazza furiosamente piazza Baldassare Galuppi e si infila brutale nella via omonima, pensa sia molto meglio fare il Carnevale a Venezia, dove in ogni caso si è originato ed ha prosperato per alcuni secoli, anche perché Piazza San Marco è a cinque minuti da Campo San Maurizio. Nel 1979 gli intrepidi amici organizzano la prima sortita a Venezia, indossando costumi dettati dal loro estro: Zancopè è un prorompente Capitan Fracassa, Gigi Bon una splendida Giubba Rossa con elmo coloniale, Mado e Fabien Boulakia una coppia di nobili cinquecenteschi, Jurubeba una turca in moretta. Ripetono nel 1980, quando sono tra i primi adulti a riprendere possesso del Carnevale, fino ad allora esiliato tra i bimbi delle elementari vestiti da Zorro e Fata Turchina o, da poco, tra gli esuberanti adolescenti liceali impegnati in feroci e improvvide battaglie con lanci di farina di evidente simbologia fecondatrice.

L’idea di ricostituire una Compagnia de Calza sorge dalla lunga amicizia tra Paolo Zancopè e Dodo Andreotti Loria. Entrambi avvocati, il primo in Brasile, il secondo a Venezia, nutrono la passione per la scena: Zancopè come regista di feste ed eventi, Andreotti Loria come attore di teatro veneziano nei primi anni del Teatro A l’Avogaria di Giovanni Poli. Dal confronto delle loro esperienze e nozioni, Paolo esperto di cultura india e afrobrasiliana, e appassionato organizzatore e stratega, Dodo profondo conoscitore del teatro e della commedia dell’arte, nasce inevitabilmente già pronta una Compagnia de Calza del presente.

Nella piccola bottega d’antiquariato in campo San Maurizio si delinea il primo progetto di festa: un ballo macabro con una scenografia per allora imponente, un ponte in ferro e legno (il Ponte del Trapasso) impianto luce e amplificazione audio, stendardi simbolici serigrafati a mano. È una festa apotropaica e scaramantica afrobrasiliana con candomblè e macumba: una miscela di esoterismo primitivista e medievale che da sempre affascina Zancopè. Perfino le musiche sono un’irresistibile e geniale fusione di percussioni indie e canti medievali, un esperimento mai tentato prima d’ora, mixato su nastro magnetico da Franco De Cal con un’opera sovrumana.

Ma i tempi sono pronti per una festa di piazza di questo tipo? È il dubbio e la sfida che i neonati Antichi si trovano ad affrontare. Come in tutte le storie che diventano mito, c’è una scommessa alla base di tutto. Orazio Emanuele Bagnasco, abile e spregiudicato finanziere dalle poliedriche passioni, condivide con Zancopè non solo il secondo nome, ma anche la predilezione per il vetro veneziano antico, l’amore per la cucina, e l’inclinazione per le feste e il divertimento, e un matrimonio con le donne sudamericane, sfida Paolo Emanuele Zancopè a realizzare la festa. Secondo lui, sarà un fallimento. E da buon ricco, mette in palio una posta solo apparentemente generosa: pagare le spese della festa. Come tutti i veneziani ricordano, la festa fu un enorme successo: il campo stracolmo di maschere cittadine di tutte le età, la viabilità bloccata per un raggio di centinaia di metri. Bagnasco pagò le spese: solo quelle documentabili però, cinque milioni di lire, senza contare il resto pagato da Zancopè.

Poi, come da qui si racconta, verrà tutto il resto...

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