di Maurizio Scaparro
MI FA piacere, grande, di essere invitato a far parte in qualche modo di queste «nozze d’argento di gruppo» che celebrate.
D’altra parte c’ero e cominciavo con voi i primi passi di quel Carnevale del Teatro che mi fece entrare, un po’ per caso, e un po’ per diritto che volevo conquistarmi, fra gli amici della Calza.
Insegna difficile da spiegare quando la vedono nella mia casa romana, confusa tra la mia biancheria intima. Difficile anche, forse per qualcuno, capire come è nato l’amore. Non amando il Carnevale, ma essendo interessato moltissimo all’uso teatrale del Carnevale, ho avuto immediata curiosità, poi simpatia, per quel gruppo di sani pazzi che ho conosciuto.
La prima violenza l’ho subita da Roberto Bianchin che conoscevo insospettabile finissimo giornalista e scrittore, accompagnato da Luca Colferai, che invece ho visto subito seriamente vestito da Compagno de Calza. Poi, anno dopo anno, mi è piaciuto pensare di far parte, almeno come affiliato, di quelle 25 famiglie dalle quali la Calza è nata.
Un modo, se volete, per credere che un romano può essere, grazie anche a voi, un veneziano e comunque non un foresto.
La storia e la cronaca che I Antichi hanno saputo costruire con e per Venezia, è raccontata passo passo in questo libro ed è inutile credo ripeterla.
Preferisco tenere per me, nel ricordo inevitabilmente un po’ nostalgico, i tanti episodi della vasta storia nei quali vi sono stato vicino. Il divertimento, le sorprese (è del poeta il fin la meraviglia) che avete dato alla città, la provocazione, la santa amoralità, la storia mescolata alla cronaca, la poesia con o senza Baffo, il Teatro.
Bianchin tiene a precisare che «non essendo teatranti o attori (non siamo chiaramente professionisti ma non amiamo nemmeno il termine dilettanti) semplicemente diventiamo e siamo i personaggi a cui diamo vita, perciò chiamiamo le nostre rappresentazioni, alla maniera antica, come momarie».
Siete riusciti così, forse senza saperlo, a seppellire tanto teatro paludato che non esiste più, e non lo sa, e a dare al tempo stesso un segnale di amore per il teatro, e per la parola festa.
Non oblio dell’io, ma un modo di vivere e di pensare nel breve percorso che lega la parola «vita» al «trionfo della morte» per ricordare il vostro ballo del 1981 in Campo San Maurizio.
Mi rendo conto che, provocazione per provocazione, sto trattandovi come persone «serie» e comunque un discorso serio mi avete negli anni aiutato a fare quando insistevo, e insisto, nell’importanza del rapporto fra Teatro e piazza, che è poi anche il sogno grande mio, e non solo mio, di fare di Venezia un giorno la Città del Teatro.
Forse in questi 25 anni, ad intervalli irregolari, ma costanti, sono riuscito a stimolare in voi qualche immagine, qualche fantasia, qualche sorriso, che sono diventati parte della storia della Calza.
Ma anche voi, e di questo sono sicuro, mi avete regalato frammenti preziosi di fantasia che fanno parte, per quello che vale, della mia storia e della storia di tanti veneziani e no.
Grazie anche per questo.
* Regista, Direttore della Biennale Teatro
© Riproduzione riservata