02 Introduzione
Questa brigata folle e irriverente
introduzione di Roberto Bob R. White Bianchin Gran Priore Onorario de I Antichi
Venticinque anni di vita della Compagnia de Calza «I Antichi» sono anche venticinque anni della mia vita. Anni importanti, e per molti versi unici. Anzitutto perché sono tanti. Un quarto di secolo segnato dall’amicizia e dalla complicità di un gruppo di persone straordinario. Un “unicum” che non ha eguali, per nascita, formazione, caratteristiche, e che per questo non assomiglia a nessuno. Sono stati anni fecondati dal piacere di stare insieme e di divertirsi divertendo gli altri. Anni di idee e di invenzioni, geniali e strampalate, provocatorie e bizzarre, filologiche e deliranti, in cui proprio l’esistenza di questo gruppo singolare di persone e personaggi, guitti e saltimbanchi, capostipiti e rampolli di venticinque famiglie veneziane tutte diverse tra loro per età, professione e condizione sociale, che non sono attori e non fanno gli attori ma «sono» i personaggi che interpretano, ha permesso di architettare centinaia di feste e spettacoli, «momarie» e «demonstrationi», originali e spesso uniche. Un’incessante panoplia di meraviglie che ha dato spinta e orgoglio, vitalità ed emozioni alla nostra città e ai suoi Carnevali nel segno della Venezianità e della qualità, e che ha portato il meglio di quanto è rimasto a Venezia nelle tante città del mondo dove siamo andati con le nostre maschere e costumi, contribuendo a dare della città che fu Serenissima un’immagine più nobile e più autentica, meno banale, meno stereotipata e anche meno becera di quanto non si creda, non si faccia e non si veda.
Per questo è con emozione sincera e profonda che sfoglio questo libro prezioso che racconta, con dovizia di particolari, la meravigliosa e incredibile avventura dei primi venticinque anni della Compagnia de Calza. La storia degli Antichi. Nessuno, credo neanche il fondatore della Compagnia, l’avvocato Paolo Emanuele Zancopè ribattezzatosi col nome di battaglia di Zane Cope, avrebbe mai pensato che la Calza sarebbe durata così a lungo da arrivare a celebrare, come fa quest’anno, le nozze d’argento con la sua stessa storia. Molti di noi avevano profetizzato l’estinzione della Calza nel 1992, quando il suo fondatore e Gran Priore ci lasciò per entrare in altre storie. Io non ero fra questi. Ero convinto che Paolo volesse che chi restava andasse avanti. Che la sua intuizione, i suoi sforzi, il suo lavoro, non venissero sprecati, non andassero perduti. Così è stato. E ora fa una strana impressione, un misto di gioia e nostalgia, ripercorrere in queste pagine le tante tappe della nostra avventura, ricostruire episodi, ricordare aneddoti, ritrovare volti e nomi che avevamo riposto in un cantuccio della memoria, e altri che avevamo dimenticato.
Sono molto contento, e anche orgoglioso, che questo libro, che ho fortemente voluto, veda la luce proprio durante il mio Priorato. E non solo perché da uomo di penna subisco il fascino della pagina scritta, tanto più grande quando come in questo caso ci coinvolge, ma anche perché questo lavoro, come molte altre nostre «imprese», è il compimento della volontà di Zane Cope. Quando stava ancora tra noi, divertendoci e facendoci ammattire con le sue fantasticherie, mi aveva chiesto di cominciare a scrivere «Gli Annali della Calza», come li chiamava lui, alla maniera tacitiana. Un lavoro che, vuoi per il peso, vuoi per mancanza di tempo, di voglia o di altro ancora, in realtà rinviavo sempre. Anzi, non l’avevo neppure mai cominciato. Lui ogni tanto mi domandava. Io rispondevo evasivo, lui abbozzava.
Ora il tempo è venuto. Ho lavorato a questo libro ogni minuto di tempo libero nel corso dell’ultimo anno e mezzo. È stata una gioia e una fatica. Mi sono stati insuperabili compagni di viaggio il Procurator Grando degli Antichi Luca Colferai, colonna della Calza, un uomo senza il quale la Compagnia non avrebbe senso, e il Priore onorario Jurubeba Bomfim, senza il cui possente archivio di testi, foto e documenti, questo libro non avrebbe mai potuto essere scritto e superbamente illustrato.
Non dirò qui nulla di più del libro, che si snoda anno dopo anno come un diario privato messo in piazza, in cui diciamo tutto e non nascondiamo niente, perché il tempo è galantuomo e anche medico e medicina, e ci consente adesso di rivelare anche alcuni episodi inediti che fin qui avevamo taciuto, e di raccontare non solo dei successi ma anche dei fiaschi (seppur pochi) e delle baruffe in famiglia (seppure non molte). Se avrete la pazienza, e spero il piacere, di sfogliarlo, di guardare le foto, di leggere qualche capitolo, troverete tutte le risposte alle domande sugli Antichi e su quanto ha combinato nel corso degli anni questa combriccola di spiriti liberi folle e gaudente, imprevedibile e ingovernabile, ironica e trasgressiva, sempre uguale e sempre diversa, «amata dal popolo e temuta dai potenti» com’è stata definita, che ancora oggi riesce a sfuggire ad ogni classificazione ed etichettatura che non siano quelle di una vigorosamente indipendente e irriverentemente anarchica brigata.
Per questi motivi desidero ringraziare tutti i Compagni de Calza, in primo luogo quelli attuali che continuano il sogno, ma anche quelli che per vari motivi non sono più con noi, perché tutti assieme, ciascuno per la sua parte e la sua epoca, ci hanno permesso di realizzare questa fantastica avventura e di vivere venticinque anni straordinari e irripetibili. Ma assieme ai principali protagonisti di questa storia, ringrazio anche tutti coloro che hanno creduto in noi e ci hanno chiamato nelle loro piazze, nei loro teatri, nei loro palazzi, a Venezia e nelle altre città del mondo, e tutti quelli che nel corso di questi anni sono venuti a vederci, si sono divertiti assieme a noi, ci hanno applaudito e ci hanno voluto bene. Grazie agli amici e sostenitori che ci hanno aiutato per la realizzazione di questo volume. E grazie anche a chi talvolta ci ha criticato. È stato uno stimolo in più.
L’ultimo ringraziamento va ai giovani, che specie negli ultimi anni si sono avvicinati alla Compagnia con entusiasmo. Perché fra i molti dubbi che ogni tanto mi assillano, sono riusciti a darmi una certezza: che la Compagnia de Calza I Antichi continuerà anche dopo di noi. È il regalo più bello che potevamo ricevere per i nostri venticinque anni. Quello che ogni volta che indosseremo ancora la calzamaglia con l’oro, il rosso e il viola dei nostri colori, ci farà spuntare un sorriso nuovo.
Dato in Venetia, a.d. MMVI
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