Anno 1986

Venezia proibita, per dieci giorni, a chi non ha una maschera sul volto. È la “regola” imposta per il Carnevale del 1983 dalla Compagnia de Calza «I Antichi», che intitola appunto Mascarar, cioè mascherarsi, il proprio Carnevale, e distribuisce mille diplomi alle maschere più belle. La Compagnia torna in campo San Polo dove mette in scena il Gran Balo Serenissimo de l’Amor Venexian, il Gran Balo de l’Amor e de la Morte con Renè Clemencic, e El Ritorno dal Katai. Inoltre presenta alla chiesa di S. Stae una Asinaria Festa, organizza a Palazzo Grassi un convegno su Giorgio Baffo, festeggia a S. Lucia l’arrivo del treno di Marco Polo, assalta Chioggia per La beffa dei veneziani, e chiude il Carnevale con un brindisi su un brigantino ormeggiato alla Salute. In aprile la Calza si costituisce ufficialmente come «Comitato Promotore del Carnevale di Venezia», in giugno organizza la Festa di S.Pietro di Castello, in ottobre presenta un bizzarro Vocabolario segreto di terminologia medica, e nello stesso mese annuncia già il suo programma per il Carnevale dell’84.

1986 - Trionfo a Monaco di Baviera

La maschera e i sensi di Casanova – Maskenfest der sinne aus Casanovas zeiten» è il titolo dello spettacolo, una rievocazione filologica del Carnevale di Venezia del XVIII secolo, che gli Antichi hanno ideato e messo in scena, domenica 26 gennaio, al Deutsches Theater di Monaco di Baviera, uno dei più antichi e prestigiosi teatri di varietà della Germania. «L’evento è considerato il culmine della stagione carnevalesca di Monaco e una delle manifestazioni più importanti nell’ambito degli scambi culturali fra Germania e Italia» scrive il direttore del Deutsches Theater, Heiko Plapperer, in un telegramma in cui comunica il patrocinio all’iniziativa del console italiano per la Baviera Luciano Koch, del sindaco di Monaco Georg Kronawitter e di quello di Venezia Nereo Laroni. Il sindaco veneziano scrive in una lettera, al suo collega bavarese, che la Calza è una delle espressioni più tipiche e più autentiche del Carnevale di Venezia. Il Priore Zancopè apre la serata, in un teatro gremito da duemila persone, i biglietti esauriti da settimane, con un discorso in cui annuncia: «Non saranno una festa e uno spettacolo consueti. Lasciatevi coinvolgere dai nostri personaggi, poiché solo in questo modo potrete rivivere e comprendere lo spirito della Venezia di quegli anni e entrare per una notte, come nelle favole, nel mondo segreto di Giacomo Casanova veneziano».

«Trionfo a Monaco del Carnevale libertino degli Antichi» scrive La Nuova Venezia del 28.1.1986. Dopo una sfilata per le strade di Monaco e in Marienplatz, la serata è cominciata con i gendarmi della Compagnia, Gianni e Albino, che perquisivano il pubblico all’ingresso del teatro, mentre gli Antichi offrivano al pubblico dei piccoli falli con le ali, in un angolo Guerrino faceva indossare agli spettatori delle maschere, e in un altro si esibiva Fabio Di Rosa col suo teatro di burattini. Poi di sopra, nella grande sala, mentre Hans Ludwig Hirsch suonava il clavicembalo, si è fatto improvvisamente buio e dal fondo, illuminato da un fascio di luce bianca, un corteo ha cominciato lentamente ad avanzare, accompagnato dalle note di un’antica canzone lagunare: E mi me ne so andao. Popolane, buranelle con le ceste dei bussolai, venditrici di elisir di erbe magiche e di vetri di Murano, ciarlatani, ruffiani, teatranti, cantanti, ballerini, mimi, pittori, puttane, principesse, negri, nani e baute: più di cento personaggi con abiti sontuosi e le ceste cariche di ogni diavoleria hanno ricostruito l’ambiente di un campiello veneziano del settecento. L’orchestra Pastime è partita subito a un ritmo indiavolato riuscendo a far ballare con musiche antiche, e lasciando il posto ogni tanto alle delicate silhouettes di Maria Grazia Garofoli e Enzo Cesiro, primi ballerini del Comunale di Bologna, e alla splendida voce di Donella Del Monaco con le sue canzoni da battello. In vari punti della sala intanto ne succedevano di tutti i colori. Da una tenda turca il pubblico veniva chiamato dentro, uno alla volta, per provare l’ebrezza dei sensi spendendo solo tre marchi, mentre delle puttane ottomane inducevano i malcapitati a stendersi su un grande divano tra unguenti e profumi, e atogliersi i pantaloni. A dar loro manforte, le due superbe cortigiane Mafalda e Lucrezia, col nanetto Guido che ogni tanto faceva maliziosamente capolino sotto le gonne, e l’inguaribile cicisbeo conte Targhetta D’Audiffret in tenuta da gran sera. Non bastassero loro, ci si metteva pure un cazzologo che illustrava su un grande tabellone formati, tipi e caratteristiche di falli celebri, mentre il ruffiano esibiva e vendeva stampe pornografiche, una chiromante prediceva il futuro e dei pittori facevano ritratti agli spettatori nello stile del Longhi e del Guardi. Fra la gente saltellavano anche un impertinente Arlecchino, un «codega» con la lanterna, un prete, un poeta, e un gruppo di cantanti da strapazzo accompagnati da un chitarrista (Michelangelo Severi) che sotto la guida del sopranista Andrea Vitali, elegantissimo con la sua barbina tutta rosa, hanno messo in scena una strepitosa e buffissima operina barocca che ha chiuso la serata veneziana dopo cinque ore ininterrotte di spettacolo.

1986 - Casanova Cosecasicasini

Parte tra le polemiche, come spesso è accaduto e accadrà, questa edizione del Carnevale di Venezia. «Dopo cinque anni di attività, e dopo avere lottato per farne un polo di decentramento delle manifestazioni, non saremo più in campo San Polo – annuncia il Gran Priore Zane Cope in una conferenza stampa del 23.1.1986 al caffè Florian – il nostro Carnevale non è stato recepito dal Comune e mi dispiace». «Questo Carnevale non è più veneziano – attacca – non è più per i veneziani, è un Carnevale per i mass media e noi non siamo comparse per la tivù. Questo tipo di Carnevale non ci interessa». Per questo la Calza organizza un Carnevale tutto suo, Casanova Cosecasicasini, e tutto dedicato alla figura di Giacomo Casanova. Il primo appuntamento è per sabato 1 febbraio «co’ fa scuro» in campiello Pisani, con «Le Turche di Casanova», una festa birichina a lume di candela, che ricostruisce l’ambiente di un Carnevale di Venezia del 1750. Nel corso della serata, un omaggio alle voci bianche, con una «gara canora fra castrati», diretta dal sopranista Andrea Vitali, che è stata vinta da Franco Torrisi di Crema. Ma la Calza, in omaggio alle polemiche dell’anno, aveva anche «disturbato» il corteo ufficiale di apertura del Carnevale in piazza San Marco, sostituendosi con un blitz, con le proprie bandiere, gli stendardi e i propri personaggi, alla testa della sfilata spodestando nientemeno che il Doge e la Regina di Cipro. «Con un colpo di mano trasgressivo – racconta Silvio Testa su Il Gazzettino – la testa della sfilata è stata presa da un gruppo, splendidamente vestito, di soci della Compagnia de Calza «I Antichi».

1986 - Casanova al bagno turco

L’epopea tutta casanoviana della Calza prosegue, domenica 2 febbraio, con lo spettacolo Casanova al bagno turco, ovvero la favola degli amori proibiti di Giacomo raccontata al Bagno Turco allestito in campo Santo Stefano dalla stilista Fiorella Mancini. «Il pubblico è più interessato alle proposte che il Priore della Compagnia de Calza «I Antichi» Zane Cope, in pieno spirito casanoviano, continua a fare alle due odalische Barbara e Consuelo – racconta Claudia Fornasier su La Nuova Venezia – ma la strenua difesa dura poco, il Priore ha un magnetismo irresistibile e poco dopo i corpetti ornati di perle e stoffe preziose delle due odalische, volano tra i cuscini di seta sui quali sono distesi fotografi e giornalisti. Lo strip – tease fuori programma risveglia gli animi, eccita il pubblico, e stampa sul viso del Priore un sorriso soddisfatto degno di un pascià». Le iniziative dedicate a Casanova proseguono giovedì 6 febbraio in piazza San Marco con la «caccia al sosia» di Casanova. Gli Antichi distribuiscono migliaia di volantini gialli con l’immagine di Casanova e la scritta: «Ricercato pericoloso amatore fuggito dai Piombi. Consegnarlo vivo, morto o castrà in campiello Pisani sabato 8 febbraio co fa scuro». Per Giacomo, nella stessa serata dell’8 febbraio, viene organizzata anche una festa a Ca’ Mocenigo Gambara, Il Ballo di Casanova, in collaborazione con le «Round Table» di Venezia e Mestre e i giovani imprenditori della Provincia di Venezia. Una festa in cui «il terribile cazzologo», così Claudia Fornasier su La Nuova Venezia dell’11.2.1986 descrive il grandissimo attore Norberto Midani, il primo Casanova della Calza, «ha smosso nobildonne e gentiluomini srotolando il suo informatissimo manifesto con tutti i tipi di falli di ogni misura e forma, «ma sempre eretti».

1986 - Su e zo sessantanove,Casanova gò trovà

La serata che porta questo titolo curioso, organizzata sabato 8 febbraio in campiello Pisani con la complicità dei caffè di Piazza San Marco che l’hanno finanziata con un contributo di 20 milioni, è stata il clou delle manifestazioni casanoviane del Carnevale. Non solo perché è stato finalmente trovato e premiato il sosia di Casanova, un gentile signore romagnolo, Sauro Briganti, che veniva da Forlì. E non solo perché la Contessa Mafalda Malpighi è stata rieletta per la terza volta e per acclamazione Regina delle Cortigiane di Venezia, un titolo che non lascerà mai più e che non verrà nemmeno più rimesso in votazione data la «insuperabilità delle doti» della contessa parmense. Ma perché è stata una festa antica, d’altri tempi, inimitabile per fascino e lussuria. Gianluca Comin, su Il Gazzettino del 9.2.1986, la racconta così: «In campiello Pisani ieri sera si parlava veneziano. Sulle note rinascimentali dell’ensemble Pastime, la Compagnia de Calza «I Antichi» ha eletto il sosia di Giacomo Casanova, grande amatore, grande scrittore, grande veneziano, al quale è dedicato l’intero programma degli Antichi. Non è stata una scelta facile, molti sono stati i pretendenti, che hanno usato ogni mezzo di persuasione per convincere la giuria. Su e zo sessantanove, Casanova go trovà è stato il tema e il ritmo della serata incorniciata dalle torce e dai costumi della Venezia settecentesca. Una riproposizione che il pubblico, spettatore e attore, ha dimostrato di apprezzare moltissimo. In un angolo il teatrino dei burattinai bresciani De Rosa, in un altro i turchi che spacciavano elisir di giovinezza, su un palchetto Andrea Vitali ha inscenato l’operetta dei castrati, su un altro si buttavano i tarocchi e si leggevano le linee della mano mentre i pittori Longhi e Guardi ritraevano le fanciulle più belle. Quadretti originali in una serata ricca di colpi di scena in cui è stata eletta anche la regina delle cortigiane. Nessuna delle pretendenti è riuscita a spodestare la contessa Mafalda Malpighi. Poi la festa è continuata fino a notte fonda».

1986 - A Cena con Giacomo

Cena Galante Venezia 1754 con le ricette erotiche di Giacomo Casanova

Fondamente Nove ai Biri domenica 7 febbraio 1986

Ostriche alla « Angel on horse beck »: così le chiama Giacomo, ostriche avvolte in pancetta finissima su pane leggermente tostato. Sopra si cola burro fuso caldissimo e pane grattato.

Ragù con tartufi: ragù di pollo tagliato a pezzetti messo in acqua prima tiepida, poi fredda e asciugato. Si rosolano in burro i pezzetti senza dar loro troppo colore e si infarinano. Si aggiunge brodo bollente e una cipolla fiorita di chiodi di garofano, funghetti secchi, tartufi, un mazzetto guarnito, un po’ d’aglio. Si rosola a piccolo fuoco fino a cottura ultimata. Si toglie cipolla e mazzetto e si lega con panna, tuorlo d’uovo battuto, succo di limone, sale e pepe, tartufi crudi tagliati a volontà.

Insalata piccante con uova sode, filetti di acciughe, bottarga grattuggiata con olio di Lucca e aceto aromatizzato alle quattro erbe, detto aceto veneziano.

Maccheroni al burro gnocchetti di semola di grano senza patate, burro fuso e formaggio grana.

Storione naturale bollito con sale non condito. Oppure nasello o trote.

Kirsch freddissimo

Coniglio alla veneziana con pancetta, ginepro, salvia, rosmarino, pancetta a dadi.

Vino: tre bianchi e tre rossi non ama il calore, la fretta, lo stomaco vuoto, l’assenza di femmine.

Lo specialissimo menù è stato preparato da Eligio Paties dei ristoranti “Do Forni” e “Antico Pignolo” di Venezia. Consulenza gastronomica di Carlo Scipione Ferrero e della libreria antiquaria “Il Collezionista” di Milano

1986 - A cena con Giacomo nella sua probabile dimora

Un altro bizzarro appuntamento dedicato a Casanova si è consumato nella giornata di domenica 9 febbraio, prima con una colorita «Promenade» di Antichi e Casanovisti alla «probabile casa» del grande amatore, individuata dalla Calza in un antico palazzo veneziano sulle Fondamente Nove, poi con la cerimonia ufficiale di Riapertura della più probabile casa di Giacomo Casanova veneziano con musiche, brindisi, «prove d’alcova», e una straordinaria sfilata di cappelli e costumi della preziosa collezione del Conte Emile Targhetta D’Audiffret, confezionati da lui medesimo. La giornata si è conclusa con una cena sontuosa dedicata alla cucina erotica di Casanova. «I compagni de calza in compagnia dei casanovisti di Roma capeggiati dall’architetto Furio Luccichenti – racconta Claudia Fornasier su La Nuova Venezia dell’11.2.1986 – si sono recati nel suggestivo palazzo del conte Emile Targhetta D’Audiffret. Tra statue, pupi, suonatori e baldacchino con colonne nere, una cinquantina di persone tra cui la contessa Donà delle Rose e la storica dell’arte Ileana Chiappini, hanno cenato secondo le antiche ricette afrodisiache di Giacomo Casanova. A raccoglierle e consegnarle nelle mani di Eligio Paties dei «Do Forni», è stato Carlo Scipione Ferrero, la cui libreria antiquaria di Milano, «Il collezionista», offre solo libri di erotismo, cucina e vino. Insalate piccanti, ostriche avvolte in pancetta finissima e adagiate su pane tostato con burro fuso e pane grattugiato, ragù con tartufi, storione al naturale, i famosi maccheroncini che permisero al grande amatore di fuggire dai Piombi, sono stati serviti con tre vini bianchi e tre vini rossi preparati e presentati dal compagno de calza Roberto Biscontin dei Do Mori. È stato seguito alla lettera il consiglio di Casanova sul vino, che «non ama il calore, la fretta, lo stomaco vuoto e l’assenza di femina». Non a caso, sulle «prove d’alcova» che hanno seguito la cena, avvenute su licenza del conte, sopra il suo antico e spazioso letto a baldacchino, si raccontano cose turche». A Casanova è stato dedicato anche l’ultimo giorno di Carnevale, martedì 11, con La follia di Casanova, una gran sarabanda per la città scoppiata a sorpresa per calli e campielli, che ha dato un «addio itinerante» al Carnevale.

1986 - Esplode l’Ombralonga, in novemila per un percorso segreto

Troppo successo per l’Ombralonga, che per l’eccessivo numero di partecipanti, novemila quest’anno, diventa ormai ingovernabile, e comincia a dare seri problemi di sicurezza e di ordine pubblico, nonostante che gli Antichi avessero reso obbligatorie le iscrizioni prima della partenza (cinquemila lire a persona destinate al restauro di una vecchia osteria), e avessero mantenuto segreto fino all’ultimo il percorso per evitare le «fughe in avanti» dei partecipanti che, com’era successo negli anni passati, andavano a prosciugare i punti di ristoro prima dell’arrivo del corteo. La terza edizione della marcia enologica tra le più antiche e caratteristiche osterie di Venezia, ideata dagli Antichi in collaborazione con la casa vinicola E. Collavini di Corno di Rosazzo (Udine) il cui titolare, Manlio Collavini, ha messo a disposizione i duemila litri di vino che sono serviti a placare (parzialmente) la sete dei partecipanti nel percorso che venerdì 7 febbraio andava da Santo Stefano a Castello, è stata comunque un successo che è andato ben al di là delle più rosee aspettative.

Un’altra iniziativa, molto apprezzata, del Carnevale 1986 degli Antichi, è stata la Festa della Nuova Età all’Arsenale, domenica 2 febbraio, dove trecento anziani, riuniti sotto un tendone, hanno fatto festa con i compagni de calza che per l’occasione si sono esibiti nelle vesti di cuochi e camerieri. Una «festa originale e riuscita», secondo Il Gazzettino del 3.2.1986, grazie anche alla collaborazione del consiglio di quartiere e della trattoria Al Mondo Novo.

1986 - Le polemiche dividono anche gli Antichi

Baruffe & polemiche continuano dopo il Carnevale, e spaccano anche la Compagnia de Calza. Il motivo è una lettera aperta che il Priore Zane Cope scrive al sindaco Laroni e che viene pubblicata dai giornali della città con titoli del tipo: «Sindaco, lasci quei generali», e «Faccia dimettere i due assessori». «Tosi e Salvadori hanno devastato il Carnevale di Venezia ’86» scriveva Zane Cope che accusava il Comune di «aver operato per reprimere quella fiammata di autentica e spontanea cultura popolare che è il Carnevale, nel maldestro tentativo di impossessarsene». «Sindaco, si liberi dei suoi generali o caporali sfortunati – concludeva – soprattutto quando sono anche sciocchi. Lasci che la città manifesti spontaneamente un po’ di follia e la aiuti in questo, ma poi si fermi. Anche il grande Erasmo da Rotterdam ha scritto l’elogio della pazzia, ma si è ben guardato dal fare quello della stupidità». Prima risponde, indignato, il regista Bruno Tosi: «Zancopè poteva tacere. I suoi insulti immiseriscono e rattristano la figura dell’autore che li lancia». Anche alcuni compagni de Calza non approvano la sortita del Priore. «Zancopè contestato dai compagni di calza» titola Il Gazzettino del 20.2.1986. Nove di loro, Pietro Casellati, Silvana Vianello, Alessandro Bianchini, Piero Casellati, Carlo Cappai, Francesco Casellati, Riccardo Trenti, Lucia Trenti e Sebastiano Casellati, scrivono una lettera ai giornali per dire che le affermazioni di Zancopè, di cui non erano stati informati, si devono ritenere «fatte esclusivamente a titolo personale». «Non approviamo – dicono – che il signor Zancopè spendendo il nome di Priore della Compagnia si metta allo stesso livello delle istituzioni criticandole e addirittura arrivando a proporre al sindaco le dimissioni degli assessori». La risposta degli altri Antichi non si fa attendere. Due giorni dopo viene pubblicata una lettera di trentanove compagni de calza che si dicono invece d’accordo col Priore. «Noi sottoscritti ci permettiamo di dissentire dai dissenzienti – affermano – in quanto condividiamo appieno non solo il tipo di attività svolto dalla Compagnia, ma anche i contenuti della lettera aperta del Gran Priore Zane Cope che ha felicemente sintetizzato quella che è l’opinione della stragrande maggioranza, e per niente silenziosa, dei Compagni de Calza». Le lettera è firmata da Albino Costantini, Maria Novello, Aldo Bon, Gianni Matteucci, Daniela Barovier, Giuliana Longo, Guido Benato, Elisa Benato, Franco De Cal, Roberta Pianaro, Roberto Biscontin, Rita Vio, Daniela Biscontin, Carolina Perkhofer, Luigia Bon, Mario Stifanelli, Jurubeba Bomfim, Sandra Vigarani, Amedeo Memo, Giuseppina Ruschioni, Debora Memo, Andrea Memo, Alberto Alvisi, Marina Zancopè, Fabrizio Alvisi, Giorgio Papa, Maria Angela Olivieri, Nicoletta Papa, Andrea Vitali, Fabio Di Rosa, Giorgio Bertolizio, Vera Storani, Alessandro Memo, Massimiliano Memo, Gino Marin, Marina Ricci, Fabien Boulakia, Mario Andreoli, Bruna Andreoli. L’epilogo della baruffa avviene in un’assemblea plenaria della Calza il 23.2.1986, in cui per la prima e unica volta nella storia della Compagnia viene istituito un «tribunale di disciplina» nei confronti dei dissidenti, accusati di «infrazioni dello statuto consuetudinario dei Sempiterni del 15.3.1541 e degli Accesi del 4.2.1562, nonché del principale obiettivo della nostra Fraterna de «volerse ben come fradei». Al termine di una accesissima discussione, l’assemblea «prende atto, constata e delibera l’autoesclusione» dei dissidenti dalla Compagnia de Calza. Ma nella stessa riunione c’è anche un avvenimento lieto, l’ammissione ufficiale alla Compagnia di cinque nuovi compagni de Calza: Sandra Vigarani, Giorgio Papa, Andrea Vitali, Fabio Di Rosa, Luca Colferai. Tre di loro, Colferai, Vigarani, Vitali, diventeranno colonne portanti della Compagnia, che non abbandoneranno mai più negli anni a venire. Colferai sarà anche Priore, Procurator Grando e «anima» degli Antichi.

1986 - Tortorine Parigine

Quando il professor Andrea Vitali, ideatore regista e interprete dell’Operina Barocca illustrò la pirotecnica trama dell’esilarante commedia tessuta di equivoci amorosi e di amori equivoci tra dame, cicisbei ed evirati cantori, mimandola con l’aiuto del copione, tra i Compagni di Calza riuniti si scatenò a brutale sorpresa una furiosa acrimoniosissima lite. Due fazioni pronte a venire alle mani, in mezzo due candide e tubanti tortore, elementi indispensabili contemporaneamente alla scenografia, alla coreografia e alla struttura narrativa dell’Operina. Da una parte chi si opponeva con indomito ardore all’uso di animali vivi nelle feste de I Antichi, dall’altra chi sottolineava che le tortorine non avrebbero subito né danni né sconforti, a parte il dover sostare per alcune decine di minuti nei pantaloni di Andrea Vitali, per poi essere infine liberate nel delizioso cielo di Parigi. Scottati dalla corrida mancata dell’anno prima, paurosi di essere additati come turpi seviziatori di bestie innocenti, I Antichi erano molto impauriti dalle due candide tortorelle. La discussione si fece sempre più accesa. Venne indetta una votazione. Per alzata di mano. Entrambi gli schieramenti finirono pari. Il priore Zane Cope esercitò il suo potere di veto e autorizzò l’uso degli uccelli nella spedizione parigina. Le otto tortore portate a Parigi in una leziosa gabbia decorata (tante ne servivano per le repliche e per eventuali indisposizioni) si vendicarono con cieca ferocia de I Antichi colpendo indiscriminatamente i contrari e i favorevoli al loro debutto operistico. Lasciate sconsideratamente libere nel residence «Pierre & Vacances» nell’ultima periferia urbana della Ville Lumiére, defecarono per ore con invidiabile precisione in ogni dove, tempestando di schiti indelebili gli impareggiabili paramenti del Conte Emile Targhetta, i lussuriosi velluti sontuosi di Donna Lucrezia e financo l’impasto levitante delle fritole portato direttamente da Venezia da Franco De Cal e quintuplicato di volume durante il viaggio in treno fino a far esplodere il contenitore per pasticcieri professionali. Il commento del Gran Priore fu lapidario: «I osei xè stupidi e le tortore xè i più stupidi dei osèi».

1986 - A Parigi nei giardini di Palais Royal il mondo di Casanova e delle Cortigiane

Coda francese del Carnevale, sabato 15 febbraio alle 18, nei magnifici giardini di Palais Royal a Parigi, con lo spettacolo Opera Carnaval, Fête Venitienne allestito dal ministero francese della cultura e dal Comune di Venezia, con la collaborazione del Teatro La Fenice, nell’ambito delle manifestazioni «Venise à Paris». Alla Compagnia de Calza il compito di ricostruire il mondo di Giacomo Casanova e delle Cortigiane veneziane. «Successo a Parigi per gli Antichi» titola Il Gazzettino del 18.2.1986. «Il successo del Carnevale di Venezia a Parigi è dato dai numeri – scrive Gianluca Comin – oltre 10mila persone hanno partecipato alla festa di apertura delle manifestazioni Venise à Paris, nei giardini di Palais Royal, magnifico scenario di Opera Carnaval, tema spettacolare di Italo Gomez e di Cherif Khaznadar e realizzato dalla regista Françoise Gurnu. Una festa in cui si sono susseguiti l’orchestra del Teatro La Fenice, i musicisti del conservatorio Pollini di Padova ed il gruppo di Eugenio Bennato. Lo spettacolo invece è stato affidato al Teatro l’Avogaria, agli attori della Comedie Française, alla Compagnia de Calza «I Antichi», veri mattatori della festa. Nei giardini del palazzo reale i compagni de calza hanno riproposto il mercato veneziano, il banco delle «frìtole e vin», i burattinai, la ribalta dove Norberto Midani, commediante, ha inscenato la battaglia delle spade, la cartomante, l’operetta barocca di Andrea Vitali, le cortigiane Mafalda e Lucrezia, tutti personaggi di una Venezia del settecento fantastica e reale allo stesso momento». La Compagnia de Calza in pochi mesi, aggiunge Comin, ha toccato Monaco e Parigi, le metropoli di due culture diverse. «È importante per noi – ha commentato il Priore – uscire da Venezia per verificare se la nostra venezianità è un fenomeno locale da strapaese o invece una cultura e tradizione che può reggere il confronto. Il successo ci conforta: la formula è quella giusta».

«La sontuosa Regina delle Cortigiane Mafalda Malpighi, la splendida Cortigiana Lucrezia, il nobile conte Emile Targhetta D’Audiffret, il Doge dei Nicoloti, i pittori Longhi e Guardi, il Memo codega, il titanico fritolèr, più gli altri compagni de calza e gli impagabili Andrea Vitali, etero sopranista, e Norberto Midani eccelso penologo, più immancabile contorno di chiromanti, cartomanti, ciarlatani turchi e burattinai birichini – scriveva Luca Colferai su Venezia 7 del 20.2.1986 – hanno ricreato a Parigi quell’atmosfera carnevalesca che ormai, dopo anche il recente successo di Monaco di Baviera, sembra destinata a fare il giro di mezza Europa». Le cronache del tempo riportano anche notizia della curiosa spedizione veneziana degli Antichi a bordo di uno dei consueti «vagoni piombati», carichi di stampe erotiche e biscottini buranelli, oltre che di «estenuanti prove» durate fino a dodici ore e vissute, nonostante ciò, «tra frizzi e lazzi». Ma il «punto culminante della serata», secondo Benoit Isorni su La Repubblica del 18.2.1986, è stato, sotto un grande tendone dove si affollavano migliaia di persone, «l’evocazione del celebre ponte delle tette, che ha offerto alle attrici italiane e francesi l’occasione di rivaleggiare in scollature da brivido». E un brivido c’è stato davvero quando Zancopè ha deciso di fare, come previsto, «il lancio del nano». Una barbara e antica usanza da ripristinare ma «solo per gioco». Il gioco doveva essere il lancio dal palco del nano Guido da Brisighella, che faceva parte della Compagnia nel cast dell’Operina Barocca, e che avrebbe dovuto venir preso amorevolmente in braccio, al volo, dagli Antichi accorsi sotto al palco. Sennonché quando il Priore ha dato il via al becero gioco, era senza occhiali, e non si è accorto che sotto al palco non c’era alcun compagno di calza, dal momento che gli Antichi, rimasti intrappolati tra la folla che gremiva il tendone, non erano riusciti ad arrivarvi. Il «lancio» è stato fatto lo stesso. Il nano Guido, sollevato dalle braccia allora ancora vigorose del Gran Priore, è fluttuato nell’aria come una piuma, poi è partito via come un proiettile, ha volteggiato su sé stesso con una elegante capriola, ed è ricaduto pesantemente sul selciato, a schiena in giù, rimanendovi immobile, perché la folla, composta da semplici spettatori e non da Antichi, quando ha visto il nano volare, non sapendo che fare ha pensato bene di farsi da parte tirandosi indietro e lasciando un largo spazio proprio lì dove il povero nano è rovinosamente precipitato. Fortunatamente non gli è occorso nulla di grave, i nani si sa sono bastardi, tranne un gran mal di schiena che ha costretto la Regina delle Cortigiane ad accudirlo nottetempo spalmandolo con profumati unguenti mentre il terribile nano, pur gravemente acciaccato, non smetteva di frugarla sotto la gonna tra le vigorose proteste e i terribili insulti della Contessa. Tutti irriferibili tranne uno: «Moighea, nano de merda!».

1986 - A Brisighella il Trionfo della Morte

Una «grandiosa e spettacolare» rievocazione degli antichi riti macabri del profondo Medioevo – la prima dal 1510 ad oggi – è andata in scena per le strade e le piazze di Brisighella, delizioso borgo medievale in provincia di Ravenna celebre per le coltissime e filologiche Feste medievali che ogni anno vengono ideate dal medievista professor Andrea Vitali per conto del Comune, la sera di venerdì 4 luglio. Il Trionfo della Morte, questo il titolo della festa – spettacolo degli Antichi, ha coinvolto migliaia di spettatori in quello che è stato l’evento – clou delle feste che hanno visto, tra le altre iniziative, anche l’assalto delle truppe veneziane alla rocca nelle giornate di sabato 5 e domenica 6. Ricco di sorprese, di eventi e di personaggi, il «Trionfo» ha visto la partecipazione di ben quattrocento tra attori e comparse nei costumi originali dell’epoca. In azione, su un ampio spazio verde attorno al «ponte del trapasso» sede della «Grande Signora La Morte», quattro squadre: gli assistenti della morte dai bianchi teschi, gli appestati vestiti di giallo, gli affamati di verde e i soldati di rosso. E inoltre, il recinto del lazzaretto dove venivano rinchiusi gli appestati, le tendopoli dei viandanti disperati, i banchetti dei ricchi e ghiotti epuloni, gli accampamenti dei soldati, e poi i nobili, i cardinali, i contadini, le puttane, i nani, i fanciulli, i monaci, gli untori, i monatti, i frati, le guardie, i medici, gli angeli, i ciarlatani, i cavalieri dell’Apocalisse. Tutto allo scopo di «esorcizzare la paura della morte – spiegava il Priore – attraverso un gioco, un gran ballo ed un divertimento collettivo, all’interno di un evento magico e satirico, liberatorio e scaramantico».

«Il grande esorcismo è compiuto – ha scritto Alfredo Scanzani su La Nazione del 6.7.1986 – la Morte ha fatto spettacolo, è salita prepotentemente sul palco delle vie e delle piazze, ha terrorizzato e deriso in ogni angolo, però alla fine ha dovuto rinunciare al desiderato trionfo e ha ballato e cantato e mangiato con i figli della vita, tutti insieme, come ogni giorno avviene tra i sentieri del bosco, negli abissi del mare, nelle case e nei campi dell’uomo, nei cieli sconfinati. La paura è uscita sconfitta, svaniscono i fantasmi dell’Apocalisse, inghiottiti dalla luce del sole, si perdono lontani suoni di tromba a rulli di tamburi, sinistri canti guerreschi e le nenie del macabro corteo che si era illuso di piegare il ginocchio al trono della Grande Signora, la Morte. Festa indimenticabile, dove un intero paese e migliaia di ospiti sono stati protagonisti della più grandiosa e spettacolare rievocazione degli antichi riti macabri del profondo medioevo mai inscenata dal 1510 ad oggi».

«Si è cominciato alle dieci di sera – ha raccontato Francesco Zucchini su Il Resto del Carlino del 6.7.1986 – ma già da un’ora il colpo d’occhio era notevole: al centro dell’ampio prato era stato costruito il «ponte del trapasso» addobbato con bianchi stendardi e illuminato da luci livide. Attorno, il recinto del lazzaretto, la sede della fame (ampi banconi su cui si gozzovigliava al cospetto di affamati imploranti), e quello della guerra, un accampamento di soldati in assetto da combattimento. Quando il sole è calato lo spettacolo ha avuto inizio: alcuni monatti si avvicinavano agli spettatori borbottando: “Crediamo che lei abbia la pestevenga con noi”. E qui la gente ha avuto reazioni diverse: alcuni, sommamente maleducati, mandavano i poveri monatti a fare una certa cosa. Altri invece si lasciavano docilmente coricare nelle barelle come untori rassegnati. Via via lo spettacolo ha preso quota, nel buio della notte l’atmosfera di morte e rovina ha assunto maggior credibilità: grida e suoni si sono moltiplicati, diversificati in schiocchi, fruscii, urla e risate. La gente è stata così portata poco alla volta al di là del ponte del trapasso, e qui ha ricevuto un certificato di morte con tanto di timbro e autenticazione. Mai un trapasso collettivo fu più facile e gaio: che bello morire di fame e di peste, specie quando si è vivi, sani e con lo stomaco pieno, ricevendo subito il certificato senza bisogno di fare la fila». «Una festa allegra e canzonatrice – ha commentato Gianluca Comin su Il Gazzettino del 9.7.1986 – con un gran ballo macabro applauditissimo dal pubblico, oltre tremila persone, e un corteo cui hanno partecipato quattrocento persone tra armigeri, monatti ed epuloni, tutto a lume di torcia e di falò in un’atmosfera sorprendente».

1986 - La Peota Sollazziera al Redentore

È tornata al Redentore anche quest’anno, nella sera di sabato 19 luglio, la Peota Sollazziera degli Antichi, che si è mossa alle otto in punto dal molo della Zecca, in Piazzetta San Marco, e ha navigato per tutta la sera sulle acque del bacino, da San Marco alla Giudecca, tra musiche e canti e antiche libagioni. A bordo, la cantante Donella Del Monaco con le sue canzoni da battello, dalla celeberrima Andemo putei alla maliziosa Canzone birichina de la frìtola, la Regina delle Cortigiane Contessa Mafalda Malpighi, il Conte Emile Targhetta D’Audiffret col suo fido «moretto» Michele, la cartomante Ada Balbi, le dame, gli armigeri e i compagni de calza. Con i vini dei Do Mori scelti dal «tastavin» Roberto Biscontin e un raffinatissimo menu d’epoca elaborato dai cuochi dell’Antico Pignolo e dei Do Forni diretti da Eligio Paties: paste e fasioi, bigoli in salsa, saori vari de pesce, anara rosta e impevarada, melanzane a l’ortolana, salate e fruti de le isole, zavagiòn e baicoli e anguria.

1986 - La notte di Valpurga a Palazzo Pisani Moretta

L’hanno fatta rivivere, la «Notte di Valpurga», proprio così come l’aveva immaginata Johann Wolfgang Goethe. È successo sabato 13 settembre a Venezia, con un gran gala in costume a Palazzo Pisani Moretta, per iniziativa degli Antichi, della Regione Veneto e dell’Associazione Culturale Italo – Tedesca. La «Walpurgisnacht» è stato il momento più importante delle manifestazioni programmate da vari enti per il bicentenario del viaggio di Goethe in Italia. «Una rievocazione storica e letteraria ispirata ad alcune scene del Faust, per far rivivere le figure del grande sogno della notte di Valpurga» l’aveva presentata l’assessore regionale veneto al turismo Jacopo Panozzo. «La notte delle streghe, dei maghi e dei demoni» aveva aggiunto il Gran Priore Zane Cope. Con i cortei di gondole, le musiche settecentesche dei Cameristi di Venezia, Faust e Mefistofele, i giganti, i nani, i diavoli, le streghe, e poi ancora Cagliostro, i maghi, gli orchi, i monaci, le suore indemoniate, le silfidi, gli ermafroditi, gli uccelli infernali, e cartomanti, burattinai, pittori e ciarlatani con santini, amuleti, unguenti prodigiosi e «contratti di morte». Ispirata alle antiche ricette anche la cena preparata da Eligio Paties dei Do Forni: umedo de folpeti, mantecheta de bacalà co’ la so’ polentina, pastisso rialtin, cento risi co le secole, ratafià de limon, sfogi curai casso – pipai in forno, salatine e ortagi de le isole, fighi bianchi, caramei, buranei, rosoli de le nostre terre, sorbeti, vin de la Serenissima Repubblica.

Luciana Borsatti, su La Nuova Venezia del 15 settembre 1986, l’ha raccontata così: «Un sinistro e infernale ribollio rompeva la superficie placida del Canal Grande e accoglieva gli ospiti di Pisani Moretta. Nel cortile del palazzo nuvole di fumo grigio giungevano, come dalle viscere della terra, a coprire il bagliore dei fuochi e ad avvolgere fino alla cintola l’elegante folla in attesa. Ed ecco delle gondole staccarsi nel buio dalla sponda opposta del canale, portando il loro misterioso carico umano e demoniaco. Introdotti con baldanza e voce roboante da Mefistofele, avrebbero fatto il loro ingresso i personaggi goethiani, risorti in ricchi e vistosi costumi: da una folla di streghe urlanti a una badessa pudica e sdegnosa sotto i suoi veli, dal demone della guerra agli uccelli infernali, dal dottore Faust in persona con tanto di contratto col demonio, alla bella e pallida Margherita, da Cagliostro e Lorenza alla danza delle silfidi. Infine, il pezzo forte: un demone dal corpo bruno e lucido di sudore, travolto nel parossismo di una danza infernale che riusciva a turbare anche l’ospite più compassato: ad interpretarne la parte era il brasiliano Chico Terto, condannato a vestire i suoi satanici – e scarsi – panni per tutto il resto della notte. Miglior sorte attendeva invece, nei saloni del piano superiore, gli altri partecipanti: una cena in grande stile protratta per due ore e mezza, grazie alla catena delle diverse portate, che doveva condurre ai minuetti e alle prime luci dell’alba. La mitica Walpurgisnacht del Medioevo ha dunque avuto la sua degna rievocazione, ispirata all’opera di Goethe ma anche alla tradizione veneziana della Compagnia de Calza e della festa carnevalesca».

1986 - Concerto della Corte Ducale di Landshut ai Santi Giovanni e Paolo

L’atmosfera, le musiche e i costumi della Corte Ducale di Landshut in Baviera, sono stati portati a Venezia, per una serata cinquecentesca, sabato 4 ottobre nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Per iniziativa degli Antichi e con il patrocinio dell’azienda di soggiorno, due complessi, l’ensemble vocale e strumentale Landshuter Hofmusik diretto da Hans Walch, e gli ottoni del Blaser Der Herzoglichen Hofmusik diretto da Hermann Ingerl, nei loro costumi antichi e con strumenti d’epoca, hanno tenuto un concerto di musiche di antichi autori italiani, tedeschi, francesi e inglesi dal XIII al XVI secolo. Il concerto, cui ha assistito un folto pubblico, con il ricavato della serata (diecimila lire il biglietto d’ingresso) devoluto per i restauri della Basilica, è stato la naturale prosecuzione dell’iniziativa dell’anno precedente quando giunsero a Venezia, sempre da Landshut, i Lanzichenecchi guerrieri per partecipare al Trionfo per Dionigi di Naldo.

1986 - I Antichi recuperano la «castradina»

Ripescando un’antica tradizione gastronomica veneziana, gli Antichi hanno riproposto l’usanza, ormai dimenticata, di cucinare la «castradina» il giorno della Madonna della Salute, ogni 21 novembre. Si tratta di carne di montone castrato che proviene dalla Dalmazia, e che viene salata, affumicata e lasciata seccare prima di essere cucinata, specialmente con le verze, che è il modo più antico e tradizionale. Per rilanciare questa usanza, gli Antichi organizzano il 21 novembre una serata in onore della «castradina» al ristorante Al Theatro, con la complicità di Guido e Renata Bacchetta. Gli Antichi continueranno a riproporre la «castradina» in cene pubbliche e private per tutti gli anni a venire.

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sabato 4 ottobre 1986

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Castradina per La Salute