Dopo il successo de El Trionfo de la Morte in campo San Maurizio nel 1981, la Compagnia de Calza «I Antichi» lo ripropone al Carnevale di Venezia del 1982, con il nome di Gran Balo Macabro, e si trasferisce nel più grande campo San Polo, dove mette in scena anche altre due feste–spettacolo, Il Primo Tango a Venezia e El Trionfo de la Folìa. Il secondo anno di attività è già particolarmente intenso per gli Antichi, che nel sestiere di Castello danno vita alla Rapatumation fra Castelani e Nicoloti e allo spettacolo Le nuove forze d’Ercole, e a Palazzo Balbi organizzano una sfilata di maschere veneziane e napoletane. Ma non abbandonano il loro «fortino» di campo San Maurizio, dove posano, fra mille polemiche, una lapide in memoria di Zorzi Alvise Baffo, sulla casa dove visse il grande poeta erotico del Settecento veneziano, nume tutelare degli Antichi. Il Carnevale ’82 è anche quello del processo al professor–pisello Giorgio Spiller «reo» di essersi vestito da cazzo. L’anno si chiude con la prima trasferta nella storia della Calza, a Napoli, con lo spettacolo Giorgio Baffo poeta veneziano, e con la presentazione a Milano, in un’affollata conferenza stampa, del programma per il Carnevale del 1983.
Gentili Signori, la nostra Associazione è un ente privato, senza fini di lucro, che ha per scopo la realizzazione di manifestazioni tipicamente veneziane nell’ambito del folclore, della storia e della cultura». Comincia così una lettera che la Compagnia de Calza «I Antichi» invia il 15 gennaio 1982 alle autorità e alla stampa, annunciando il proprio programma per il Carnevale dell’anno in corso. Il punto di partenza è il successo ottenuto dallo spettacolo inaugurale del Trionfo de la Morte con cui la Compagnia ha debuttato a San Maurizio nel Carnevale del 1981. Un «successo enorme – scrivono gli Antichi – anche per il rigore culturale della manifestazione, l’ambientazione, gli arredi, la musica, tutto frutto di ricerche e studi dei nostri associati più qualificati». Di qui la decisione di proseguire su questa strada dei «balli pubblici gratuiti», ancora in collaborazione con l’assessorato comunale al turismo, e di scegliere le zone di campo San Polo e Via Garibaldi nel sestiere di Castello, «essendo nostro intuito decentralizzare le manifestazioni prendendo le dovute distanze dalla Piazza San Marco».
Perciò la Calza riparte con il Gran Balo Macabro in campo San Polo, che inaugura il Carnevale veneziano sabato 13 e domenica 14 febbraio 1982, con inizio «co’ fa scuro», cioè quando viene buio. Una riedizione «a grande richiesta, rivista, corretta e migliorata» del Trionfo de la Morte dell’anno precedente, che si presenta così nel volantino a stampa che annuncia le feste degli Antichi: «Dal profondo del Medio Evo, l’attuale memento dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse E il ballo sarà danzato fino a quando non avremo certezza che Venezia non muore». Il coordinamento musicale è di Franco De Cal, l’animazione dello spazio di Jurubeba Bomfim, le maschere di Stefano Zanin, il capo macchinista è Elio Boldrin, il serigrafo Fiorenzo Fallani.
«A campo San Polo – titola il Corriere della Sera del 14.2.1982 – passerella di costumi all’insegna del macabro, con amuleti e riti di scongiuro contro il malocchio». «A sera era piena baldoria, fra le cinque e le diecimila persone a San Marco – scrive l’inviato Gino Fantin – e altrettante dall’altra parte della città, al gran ballo macabro di campo San Polo. Ventotto pennoni alzati con le bandiere bianco-argentee della morte: al centro il ponte del trapasso, varcato da scheletri, bare, fantasmi sofisticati, donne (o uomini?) avvolte in provocanti veli neri. Riti di scongiuro, amuleti, maschere contro il malocchio. Una colonna sonora sapientemente allestita: balli medievali, rinascimentali, macumbe, musiche a percussione d’Africa, d’Asia, dell’America del sud. I padelloni della televisione a forare il muro di nebbia. Un clima di lucida compassata follia, tra la gente spettatrice come in platea. E fumi dai banchi delle salsicce». «Con il ballo in campo il via al carnevale – titola La Repubblica del 14.2.1982 – artisti e finanzieri tra scheletri e teschi». «In serata la febbre del Carnevale è salita con il ballo macabro in campo San Polo «per spaventare tristezze e pessimismi – scrive Roberto Bianchin – sfilate di scheletri, teschi, morti con la falce, musiche d’oltretomba, candele accese, incappucciati in fila che snocciolavano litanie sul ponte del trapasso. L’ha ideato la Compagnia de Calza, una accolita di intellettuali e buontemponi che annovera fra i suoi soci scrittori come Alberto Moravia e finanzieri come Orazio Bagnasco, ma anche operai e netturbini». «Di notte, in campo San Polo, teschi e mascherate cimiteriali – scrive Luciano Curino su La Stampa del 17.2.1982 – lugubri rituali, litanie sul ponte del trapasso, scaramanticamente si è inneggiato alla morte delle istituzioni negative. Musiche medievali, Carmina Burana, l’ossessiva percussione dei primitivi».
1982 - Il Primo Tango a Venezia
La seconda festa-spettacolo del Carnevale ’82, sempre in campo San Polo, è Il Primo Tango a Venezia, che va in scena sabato 20 e domenica 21 febbraio alle 18, per la regia di Aldo Bon, Camerlengo della Compagnia, e con la partecipazione della «Scuola di Ballo Moderno d’Italia». Il coordinamento musicale è di Franco De Cal, l’animazione dello spazio di Jurubeba Bomfim, il capo macchinista Elio Boldrin. Il Gran Priore Zancopè spiegava che la festa, più che a «L’ultimo tango a Parigi», si ispirava alla «musica e il ballo dei locali di mala fama di Buenos Aires che tra il 1910 (dispensa ecclesiastica concessa dal Papa Pio X) e il 1930 conquistò l’Europa diventando una poesia di profilo malinconico, disperato, a volte filosofico, con gran abbondanza di amori contrariati, ingiustizie sentimentali e metafisiche frustrazioni, solitudini e abbandoni, e con una vena incipiente di protesta verso la società urbana, la società in sé stessa e la stessa vita».
«C’è molta attesa in città per il primo tango a Venezia che la Compagnia de Calza ha organizzato in campo San Polo – scrive La Repubblica del 18.2.1982 – saranno due giorni di danze languide e insieme scatenate, soprattutto tango argentino dal 1925 ad oggi, quello classico della tradizione e quello riveduto e corretto dei giorni nostri, in uno dei più bei e più grandi campi di Venezia, attraversato da un grande ponte di legno di quaranta metri, dove si esibiranno ballerini di tango di varie scuole, in una scenografia art deco ambientata tra il 1925 e il 1930». «Un’impronta di autoironia, la festa più decadente, ma anche la più sfrenata – rileva Luciano Curino su La Stampa del 17.2.1982 – un ritorno alla fine del liberty, agli anni del Des Bains e dei primi alberghi per una borghesia che scopriva la laguna. Musica argentina, animazione teatrale e sketch, in costume ispirato agli anni venti».
Roberto Bianchin, su La Repubblica del 23.2.1982, la racconta così: «Prima salgono sul palco sedici mini ballerini della scuola «Roncarati» di Bologna, poi due coppie bellissime che danzano in bikini sfidando il freddo polare. Sono i campioni italiani di tango figurato, la gente li saluta con una ovazione. Arriva la nonna di Mastelloni che poi è sempre lui in uno dei suoi numerosi travestimenti e si porta dietro una sfilza di travestiti. Ci sono stupende brune argentine e languidi ballerini in frac con la rosa stretta fra i denti, dittatori e generali sudamericani, gauchos e prostitute, Evite Peron e Pinochet. In un arredo art deco, un vero trionfo del kitsch, gli altoparlanti sfornano tanghi argentini a ripetizione (li ha forniti il Consolato), da quelli tradizionali di Carlos Gardel ai più moderni di Astor Piazzolla. In diecimila, nella vasta arena di campo San Polo, riscoprono un ballo dimenticato, decadente e ambiguo come questa città, dice Aldo Bon della Compagnia de Calza che l’ha organizzato. Alla tentazione del casqué non resiste nemmeno Jack Lang, ministro della cultura francese, col seguito dei suoi collaboratori. A un certo punto lo speaker, Paolo Zancopè, annuncia che l’Argentina è stata occupata militarmente dal Brasile e che il tango è stato proibito. Urla, fischi e pernacchie. È il pretesto per scatenare una serie di sambe e bossanove prima di tornare al tango per la fine della festa che, diradatasi un po’ la folla, è tutta dei sessantenni».
1982 - El Trionfo De La Folia
La Compagnia de Calza conclude la sua «trilogia» in campo San Polo, l’ultimo giorno di Carnevale, martedì 23 febbraio 1982 alle ore 16, con un altro Trionfo: se l’anno prima era stato il trionfo della morte, quest’anno è la volta del Trionfo della Follia, anzi de la folìa, in lingua veneziana. Perché «Semel in anno licet insanire» annuncia il programma della festa, nel corso della quale vengono distribuite gratuitamente millecinquecento maschere di carta tutte uguali, «perché tutti uguali devono essere i folli, a simbolizzare la vacuità del confine tra normalità e follia». La maschera del folle trionfo, a metà fra il kitsch e l’invenzione di Andy Wharol, mostra una faccia allucinata, tempestata di coriandoli come lentiggini, da demone moderno, coi capelli spiritati, una lingua di tutti i colori sputata fuori, e un paio di occhiali che sulle orecchie si trasformano in ali.
Il Trionfo de la Folia, spiegano gli Antichi, programmato l’ultimo giorno di Carnevale «proprio per la sua stessa essenza irripetibile», è la festa in cui «può succedere di tutto», e in cui ciascuno può dare liberamente sfogo alla propria fantasia. Un’apoteosi di liberazione insomma, proprio mentre il Carnevale finisce, in cui saltano le regole e in cui tutto è permesso. La musica conduttrice, non a caso, è quella più idonea per un party della follia: il rock demenziale, dagli esordi fino ai giorni nostri. Suonano infatti al trionfo alcune delle band italiane più interessanti di questo particolare genere musicale, come i Bisca di Napoli, i veneziani Death in Venice e della San Klemente Orkestra, la Venice Jazz Band e la Banda Filarmonica Jazzistica di Campagna Lupia. La regia del trionfo è di Massimiliano Longo, tecnico del suono Massimo Iannantuono, capo macchinista Elio Boldrin. Il giorno prima, lunedì 22 febbraio 1982 alle ore 21, La Venice Jazz Band con la sua musica dixieland (Renzo Bello al clarinetto, Gianfranco Busetto e Leonardo Malandra alla tromba, Giovanni Carati al trombone, Giorgio Malandra al basso tuba, Pierluigi Pulese al banjo e Gianni Rossi alla batteria) aveva tenuto un concerto, presentato da Aldo Gasparoni, sempre a San Polo, e sempre per iniziativa degli Antichi. Sempre lunedì 22 la Calza ha presentato a Palazzo Balbi, al presidente della Regione Veneto, una sfilata di antichi costumi veneziani e napoletani, indossati dagli artisti della città di Napoli venuti a Venezia per il Carnevale nell’ambito di un gemellaggio artistico e di spettacoli tra le due città.
1982 - Rapatumation tra Castelani e Nicoloti Nuove Forze d’Ercole
La Compagnia de Calza, oltre che a San Polo, in questo suo secondo anno di attività approda per la prima volta anche a Castello, in via Garibaldi, dove si cimenta nell’ardito tentativo di siglare una storica Rapatumation, che in lingua veneziana significa «riconciliazione», tra le due opposte fazioni di cittadini veneziani tradizionalmente avversari: quella dei Castelani, del sestiere di Castello, e quella dei Nicoloti, del sestiere di Cannaregio, che sono ancora oggi le due zone più popolari e più popolate della città. Gli spettacoli, organizzati dagli Antichi in collaborazione con l’assessorato al turismo del Comune e il consiglio di quartiere di San Marco – Castello – S. Elena, si svolgono nei giorni 18, 20, 21, 23 febbraio 1982, con inizio alle 16.30.
La storia di questi spettacoli trae origine dalle avventure immaginarie di Sebastiano Caboto, ricco e nobile veneziano, che torna, dopo molti secoli, nella sua città. Viene dall’Oriente, ha con sé una piccola flotta, e le sue navi sono cariche di ogni ben di Dio: spezie, tappeti, gioielli, marmi e monili preziosi. Le navi attraversano il bacino di San Marco e attraccano alla riva degli Schiavoni. Sebastiano Caboto bacia le pietre della fondamenta. Torna a casa sua, a Castello. Cerca la sua epigrafe sulla facciata. Non c’è più. Al suo posto c’è la targa dell’agenzia turistica Sebastiano Caboto. Il giovane si infuria, spacca tutto, vuole riappropriarsi della sua casa, della sua città. Dietro questa azione scenica, che è il momento culminante delle Nuove forze d’Ercole, cioè le prove che il veneziano deve affrontare per continuare a vivere nella sua città, e che sono il momento centrale della festa della Rapatumation, c’è una morale, spiegano gli Antichi: quella del veneziano che non vuole rassegnarsi a vedere la sua città trasformata in Disneyland, ma che vuole farla rivivere insieme alla sua gente.
Le due fazioni rivali dei Castellani (abitanti dei sestieri di Castello, San Marco, Dorsoduro, berretta a fasce rosse), e dei Nicoloti (abitanti di Cannaregio, Santa Croce e San Polo, berretta a fasce nere), anticamente si davano battaglia in gare di forza e abilità che venivano chiamate «Le forze d’Ercole»: si trattava di una specie di piramide umana eretta di volta in volta su chiatte galleggianti o, se a terra, su delle botti. Vinceva quella delle due fazioni che riusciva a comporre meglio la piramide, senza perdere l’equilibrio. La Compagnia de Calza ha pensato di ricomporre questa storica frattura tra Castelani e Nicoloti, e di sancirne ufficialmente la riappacificazione, per fare fronte comune contro un nuovo e più temibile nemico: il turista. Il turista americano e giapponese che compera le case dei veneziani a prezzi che i veneziani non si possono permettere, che li caccia dalla loro città, e che trasforma le loro vecchie case in moderni residence per ricchi vacanzieri. Per celebrare l’evento, sabato 20 febbraio 1982 alle 15.30, si è disputata anche una vogada di riconciliazione dal canale di Cannaregio passando per il Canal Grande fino a Riva San Biagio, davanti al museo navale, dove Castellani e Nicoloti sono arrivati paracadutati in maschera dal cielo.
Ma l’evento più atteso sono state le nuove forze d’Ercole, sei azioni teatrali in cui i veneziani si sono trovati alle prese con le «nuove emergenze», come il problema della casa e il fenomeno dell’acqua alta, diventato pressante dopo la tragica alluvione del 4 novembre 1966. La prima forza d’Ercole presentava il ritorno a Venezia di Sebastiano Caboto e «il gioco delle tradizioni», la seconda la bottega dei souvenir e il gioco del kitsch, la terza il volto di Venezia e il gioco dell’immagine, la quarta l’«American Residence Acqua Alta» e il gioco della necessità, la quinta la sfilata di «Acqualtamoda» e il gioco delle calamità, la sesta e ultima, un tiro alla fune con una corda lunga 150 metri, e il «gioco della resistenza». Nelle botteghe di souvenir si vendevano barattoli di acqua alta e turisti impacchettati, mentre l’«American Residence» spuntava in un piccolo campiello goldoniano, con le sue casette, i panni stesi fuori ad asciugare, le donne sedute fuori, sulle seggiole di paglia, a chiacchierare. Qui un giorno compare a una finestra un turista americano con una macchina fotografica al collo. Ha comperato un appartamento proprio nel campiello, e i veneziani lo guardano, e si guardano, sorpresi. L’americano è il primo di una lunga serie di «nuovi conquistatori». Dopo di lui arrivano un altro americano, poi un inglese, poi un francese, poi un tedesco, poi un giapponese, e piano piano i veneziani scompaiono. Finisce che nel campiello di papà Goldoni risuonano solo lingue straniere. Nel gioco delle calamità invece, sfilano i modelli di moda per l’acqua alta, tipo stivaloni di gomma alti fino all’inguine, presentati da un gruppo di modelle impegnate in una protesta contro il Comune per la concorrenza sleale nell’uso delle passerelle. «Venezia sta usurpando le nostre passerelle» urlano le sindacaliste della federazione italiana delle mannequin.
Le forze d’Ercole si chiudono con il gioco della resistenza, un gigantesco tiro alla fune con una gomena da nave di 150 metri, con i veneziani che tirano da una parte e i turisti dall’altra. La sfida finisce senza vinti né vincitori, con le due file di contendenti che concludono esausti la loro prova e rassegnati si abbracciano, per poi andare insieme a partecipare alla grande festa di chiusura intitolata «Ballare il secolo», con musiche degli anni ’20 ’40 ’60 ’80, che il 23 febbraio decreta la fine dei bagordi carnevaleschi. Ideata dall’architetto Giorgio Conti, la Rapatumation fra Castelani e Nicoloti, ha visto in scena un cast molto ampio, con i teatranti del Teatro Veneto Nuovo Sipario e del Teatroincerca, le canzoni di Alberto D’Amico e Roberto Fiorentini, le bande di Venezia, Chioggia e Noale, le imbarcazioni delle società remiere cittadine, i sommozzatori di Venezia, i palombari di Emilio De Col, la mongolfiera del capitano Pietro Porati, gli abiti di Roberta di Camerino, i personaggi interpretati da Bruno Nogara (Caboto), Paolo Billi (Banditore), Luigi Ghigi (Guida), Gigio Zanon (Doge dei Castelani), Mario Andreoli (Doge dei Nicoloti), le scenografie dell’Istituto statale d’arte e la consulenza storica della professoressa Lina Padoan Urban e dell’ammiraglio Sergio Stocchetti.
1982 - Una lapide per Giorgio Baffo sulla sua casa di campo San Maurizio
Ricordare Giorgio Baffo, all’anagrafe Zorzi Alvise Baffo, il grande poeta erotico del Settecento veneziano, con una lapide sulla casa dove visse in campo San Maurizio, Palazzo Bellavite. Questo l’obiettivo della Compagnia de Calza e dell’Associazione Amici di Giorgio Baffo, costituita presso la galleria di incisione Venezia Viva di Enzo Di Martino e Silvano Gosparini, che raggruppava alcuni intellettuali e artisti veneziani noti estimatori del poeta, come il pittore e scultore Vittorio Basaglia, fratello di Franco, il padre della nuova psichiatria, come lo psichiatra Domenico Casagrande, come il pittore e scultore Lodovico De Luigi, come il battitore di piazza Lino Baffo, ultimo discendente e sosia del poeta maledetto. Impresa difficile per tre motivi: per la cattiva fama di poeta osceno che circondava la figura e l’opera di Baffo, perché il palazzo era di proprietà della Curia vescovile che sicuramente avrebbe storto il naso, e perché sullo stesso palazzo c’era già una lapide che ricordava che anche Alessandro Manzoni aveva vissuto in quella stessa casa, per cui un accostamento tra l’autore dei Promessi Sposi e quello di Lode alla Mona appariva assolutamente irriverente e del tutto sconveniente, se non addirittura oltraggioso.
Ma la Calza non si perse d’animo, e si impegnò in una furibonda battaglia civile e culturale per arrivare al suo scopo. Il primo via libera lo ottenne dal soprintendente per i beni ambientali e architettonici di Venezia, architetto Mario Piana, che in data 11 dicembre 1981 comunicò il proprio parere favorevole, a condizione che la lapide di Baffo non fosse più grande di quella del Manzoni, «l’indubbiamente più illustre letterato», e che venisse realizzata in marmo bianco o in pietra d’Istria. Il secondo, e decisivo, parere favorevole, fu inviato il 13 febbraio 1982 dal segretario particolare del Patriarca di Venezia, Don Valerio Comin, all’allora assessore alla cultura Paolo Peruzza. La posa della lapide venne fissata per il 17 febbraio 1982, durante il Carnevale, insieme a una manifestazione in ricordo del poeta, con la lettura di alcune delle sue poesie. Ma i permessi non arrivarono in tempo, e la posa della lapide, col patrocinio dell’assessorato alla cultura del Comune, venne posticipata, e realizzata, l’ultimo giorno di carnevale, martedì 23 febbraio alle ore 17. «Lapide per Giorgio Baffo, tutti presenti alla commemorazione: amici, vino e musica. Mancava la lapide!» ironizzò Il Gazzettino del 18.2.1982. In compenso, la commemorazione del poeta si fece, come annunciato, il giorno 17. «Il Baffo torna al campo, informavano manifesti e locandine – scrive Luciano Curino su La Stampa del 18.2.1982 – e ieri pomeriggio campo San Maurizio era affollato per la celebrazione del poeta veneziano Giorgio Baffo (1694 – 1778), autore di sonetti e madrigali tanto eleganti nella forma quanto audaci nelle parole». «Il poeta maledetto – continuava l’articolo – è stato commemorato nel campo dove ebbe casa. Maurizio Scaparro, direttore della Biennale Teatro, ha affermato che: «Ci voleva il Carnevale per ricordare seriamente Giorgio Baffo, superando i timori, i perbenismi, le censure di un mondo che trasuda volgarità e violenza a ogni angolo di strada, a ogni luce rossa, a ogni edicola di giornali, ma si scandalizza se vede scritto in rima il nome dei suoi gioielli indiscreti». La Repubblica, per la penna di Roberto Bianchin, raccontava così, il 18.2.1982, la cerimonia dedicata a Baffo: «Il clou della giornata è stata la commemorazione, in campo San Maurizio, del poeta erotico del Settecento veneziano Giorgio Baffo. Claudio Boccassini, un artigiano di 38 anni, parrucca e mantello, ha indossato i panni del poeta maledetto e ha recitato alcune delle sue più celebri poesie mentre gli volteggiava intorno, vicino al pozzo che sorge in mezzo al campo, uno strano personaggio vestito ora da membro virile, ora da organo sessuale femminile. Più tardi, nella bottega dell’antiquario Paolo Zancopè trasformata in un caffè turco, con modellini di navi che al posto delle vele portavano i simboli sessuali femminili, sette artisti (Pizzinato, Zancanaro, Basaglia, Crippa, Sene, Borsato, Rovelli), hanno presentato una cartella di litografie ispirate all’opera di Baffo, con scritti del sindaco Rigo, del direttore della Biennale Teatro Scaparro, dello psichiatra Casagrande».
La lapide, che portava una dicitura di Guillaume Apollinaire dedicata a Baffo («Poeta che cantò l’amore con la massima libertà e con grandiosità di linguaggio»), ed era ornata da un bassorilievo stilizzato opera dello scultore Vittorio Basaglia, in cui il poeta era raffigurato nell’intento di rivolgere i suoi componimenti a una fanciulla discinta affacciata ad un balcone, fu posata l’ultimo giorno del Carnevale 1982. Ma era inevitabile che le polemiche, anziché cessare, crescessero di intensità, e al punto tale da indurre il Comune, che pure aveva approvato la lapide, ad ordinare, perentoriamente, di rimuoverla. «Davvero non c’è pace neanche nella tomba per Giorgio Baffo – scriveva Il Mattino di Padova del 28.2.1982 – dopo le polemiche sorte in seguito alla decisione di commemorarlo durante il Carnevale con una lettura delle sue poesie in campo San Maurizio e la posa di una lapide sulla casa dove visse, ora il Comune di Venezia che aveva collaborato all’iniziativa, ha scomunicato gli organizzatori». «Con vero rammarico» l’assessore comunale alla cultura Paolo Peruzza ha comunicato la decisione in una lettera inviata all’associazione Amici di Baffo, alla Compagnia de Calza e per conoscenza alla Curia patriarcale e alla soprintendenza ai beni ambientali e architettonici. «L’iniziativa godeva del mio appoggio – scrive l’assessore – in quanto Baffo, poeta per alcuni aspetti scabroso, è indubbiamente una delle figure più interessanti della letteratura veneziana. Sembrava inoltre che la posa della lapide non dovesse e potesse creare occasione, sia pure indiretta, per atteggiamenti che risuonassero non graditi alla maggioranza dei veneziani. Ciò purtroppo non è avvenuto». Di qui l’invito perentorio a sostituire la lapide. Il motivo ufficiale era che la lapide non sarebbe stata conforme alle indicazioni della soprintendenza. Ma il motivo vero, per gli amici di Baffo, era un altro: «Il poeta maledetto è ancora capace di suscitare scandalo, tanto che il Comune è stato costretto a fare marcia indietro dopo aver ricevuto pressioni».
Lungi dal chinare la testa, e dall’obbedire agli ordini, gli Antichi e gli amici di Baffo si sono impegnati in un’altra dura e lunga battaglia. Alla fine l’hanno spuntata. Non hanno rinunciato alla lapide, ma l’hanno sostituita con un’altra, che ha mantenuto intatta la frase di Apollinaire, e ha fatto scomparire il bassorilievo con la fanciulla discinta. La nuova lapide, che fa tuttora bella mostra di sé sulla facciata di palazzo Bellavite, la casa natale del poeta, è stata posata, definitivamente, nel 1987, ben cinque anni dopo questa vivace polemica. Da allora nessuno ha più protestato. Anzi la lapide, citata nei libri e nelle guide, è spesso visitata da artisti e letterati come Alberto Bevilacqua e Franco Zeffirelli, amatori e appassionati. Mani senza nome spesso si arrampicano di notte, chissà come, sulla facciata del palazzo, e depositano sulla lapide fasci di rose rosse.
1982 - Giorgio Baffo trionfa a Napoli nelle notti di Castel dell’Ovo
La vittoriosa battaglia per la lapide di Giorgio Baffo non poteva non lasciare un segno forte. Difatti la Compagnia de Calza «I Antichi» decide di dedicargli un intero spettacolo, intitolato Giorgio Baffo poeta veneziano, per la trasferta a Napoli, la prima della sua storia, in occasione delle manifestazioni artistiche e culturali che sotto il nome di «Venezia a Napoli» portano il meglio della Serenissima sotto al Vesuvio, dal 16 al 26 settembre 1982, per iniziativa del Comune di Napoli e di quello di Venezia. Gli Antichi mettono in scena il loro spettacolo sui bastioni di Castel dell’Ovo alle 23 di venerdì 24 settembre e alle 20.30 di sabato 25 settembre. E alle rime baffesche fanno seguire il gran ballo della Magia veneziana nelle sere di sabato 25 alle 22 e di domenica 26 alle 20.30. Inoltre, nel pomeriggio di sabato 25, presentano, all’antica libreria Marotta, nel centro di Napoli, la cartella Sei incisioni per Giorgio Baffo. All’incontro, molto affollato, interviene lo scrittore napoletano Luigi Compagnone, con una dotta relazione sull’opera di Baffo, «l’osceno sublime», e sull’attualità della sua opera («oggi non stiamo celebrando un poeta morto ma un poeta vivo»), che il giorno dopo, domenica 26, il quotidiano Il Mattino di Napoli, pubblica integralmente, spalancando al poeta maledetto le porte e i cuori del popolo di Napoli.
Il quale, effettivamente, ci ha messo poco a fraternizzare anche con la lingua veneziana nella quale venivano lette le poesie di Baffo, e soprattutto a capire che quella «mona» misteriosa, tante volte nominata dal poeta, altro non era che la familiarissima, e notissima, «pucchiacchia», al punto che quel distinto nobiluomo con la parrucca incipriata che interpretava il poeta, e che altri non era se non il Priore della Calza Zancopè, veniva spesso riconosciuto per strada e chiamato a gran voce: «Baffo, ’a poesia d’a pucchiacchia!». Un successo per la Calza, e «di un certo spicco», come annota lo storico napoletano, già presidente della Biennale, Giuseppe Galasso. Titta Fiore, su Il Mattino di Napoli del 27.9.1982, la racconta così: «I camminamenti di un maniero, ex fortezza, ex convento, non somigliano propriamente alle calli di Venezia, e Castel dell’Ovo non è campo San Maurizio, ma Giorgio Baffo, poeta veneziano del glorioso Settecento, reincarnato da un attore che al secolo fa l’antiquario, non ha mostrato di darsene tanto per inteso. Quello che doveva dire l’ha detto, e se c’erano orecchie innocenti, peggio per loro. Perché il Baffo è, come si dice, poeta priapeo, ovverosia licenzioso, scandaloso, morboso, vizioso e pure osceno. Nei suoi componimenti trattasi con ritmo monocorde e senza ombra di dubbio un solo argomento: il sesso. Tanto grande è il convincimento e tanto pressante l’evocazione che due giganteschi simboli fallici si sono materializzati tra il numerosissimo pubblico venuto a salutare con una due giorni di festeggiamenti il gemellaggio tra Venezia e Napoli arrivato ieri sera al gran finale. Tantissima gente, forse troppa. Diciamo pure folla da ingorgo in ora di punta, frastornata da mille iniziative itineranti da una terrazza all’altra del castello, divisa tra il richiamo della napoletanità vestita da Pulcinella e l’ammirazione per i costumi del Settecento veneziano a marchio d’origine controllata portati in giro dagli attori della Compagnia de Calza «I Antichi», quella del Baffo, per intenderci».
In effetti, per conquistare Napoli c’è voluta proprio «l’altra» Venezia. Quella che più le assomiglia. Quella della trasgressione, dello sberleffo al potere. Gli Antichi sono scesi nei vicoli dei rioni popolari con i loro costumi d’epoca e il loro dialetto. Una trentina di gentiluomini del settecento, di damine, di cicisbei, di gondolieri, con tanto di Doge in palandrana rossa (Mario Andreoli), hanno girato per la città a parlare con la gente, e hanno letto nelle piazze le poesie di Baffo, divenuto così popolare in pochi giorni che nutriti gruppi di napoletani si sono presentati al gran finale della festa in maschera a Castel dell’Ovo senza biglietto, ma dicendo all’ingresso, a mo’ di lasciapassare : «Ci ha invitati Baffo!». Li hanno fatti entrare. Preceduti da un grande stendardo e da un Pulcinella napoletano in veste di traduttore, che agitava un tamburello con la gente che lo seguiva come se fosse un pifferaio magico, gli Antichi hanno girato per Napoli a piedi e in carrozzella. Hanno improvvisato dialoghi con la gente un po’ ovunque, hanno dato spettacolo in Galleria Vittorio Emanuele, hanno dialogato di cultura alla libreria Marotta, hanno fatto un’irruzione nella sede del Mattino e un’altra al Teatro San Carlo alla prima del Ratto dal serraglio, e poi hanno trasformato la terrazza di Castel dell’Ovo in un campiello veneziano. È qui che a tarda sera è comparsa all’improvviso una figura mascherata dalla bauta che distribuiva furtivamente dei foglietti ai presenti: le poesie del Baffo. Proprio come faceva il poeta duecento anni fa nelle osterie e nei campielli di Venezia. Allora un mormorio si è levato dalla folla: «C’è il Baffo, c’è il Baffo!». Vistosi scoperto, il poeta, trascinato a forza su un palchetto, è stato costretto a recitare le sue poesie. Finché, sul tardi, i fantasmi evocati dal poeta si sono materializzati: dalle scalinate del castello sono scesi, abbracciati, due enormi simboli sessuali, quello maschile e quello femminile, costumi inventati da un professore dell’Accademia di belle arti di Venezia, Giorgio Spiller, che hanno dato vita a un singolare duetto, «lui» in napoletano, «lei», la pucchiacchia, in veneziano. Poi, a notte fonda, tutti ancora per le strade. «Per Baffo e la sua corte – ha scritto su La Repubblica del 27.9.1982 Roberto Bianchin – a Napoli si è bloccato persino il traffico».
1982 - Blitz degli Antichi a Milano: annunciato il Carnevale ’83
Approfittando del fatto che la Biennale ha annunciato il suo disimpegno per il prossimo Carnevale, e oltremodo gasati per i successi dell’82, gli Antichi decidono di giocare d’anticipo bruciando tutti, e di annunciare da soli, prima della fine dell’anno, il programma per il Carnevale di Venezia dell’83. Una mossa ardita, a sorpresa, studiata a tavolino dal Gran Priore Zancopè che per l’occasione ha rispolverato il suo antico piglio di acutissimo stratega rivoluzionario. La sortita ottiene l’effetto voluto. Tutta la stampa dà grande risalto al fatto («Biennale in crisi? Il carnevale ritornerà in mano ai veneziani con la Compagnia della Calza» titola Il Giornale), ma il blitz provoca le ire furibonde dell’assessore comunale al turismo di Venezia Maurizio Cecconi, che scrive al Gran Priore una lettera indignata, lamentandosi per le anticipazioni fornite senza autorizzazione. Il blitz comincia la mattina del 18 dicembre 1982 quando tutta Venezia viene invasa da manifesti formato elefante degli Antichi che annunciano il Bando di levada de Calza per dare inizio ai preparativi per il prossimo Carnevale, affinché «tuti i Venetiani fazza suo ’sto Carneval, et che i lo viva da Protagonisti». Il 21 dicembre Il Gran Priore Paolo Emanuele Zancopè tiene una conferenza stampa a Milano, nell’elegante atelier di moda della compagna de calza Vera Storani, «in locali dalle luci morbide, fra persone gentili, presso le quali sono di casa i sorrisi e i bei volumi di Franco Maria Ricci, dove ci accoglie una fanciulla in fiore abbigliata con la divisa multicolore della Compagnia, compreso un nastro d’oro con sigillo attorno ai biondi capelli» scrive Gi. Piac. su Il Giornale del 22.12.1982. Zancopè illustra la filosofia della Calza : «Vogliamo riproporre l’antico Carnevale veneziano, quello spontaneo, di strada – annuncia solenne – ci siamo accorti che il veneziano era un po’ timido negli ultimi Carnevali, non voleva essere oggetto di curiosità. Ora il nostro vuol essere il recupero di un Carnevale magico, allegro e popolare (ma non volgare), aperto a tutti. La scorsa edizione abbiamo avuto migliaia di persone in campo San Polo». Seguiva l’annuncio di una serie di eventi legati ai temi della maschera, del costume, del trucco e del travestimento. «Questa volta il Carnevale sarà spontaneo, e non calato dall’alto» scrive La Repubblica dello stesso giorno. «Scaduto il consiglio direttivo della Biennale, questo ormai prossimo Carnevale veneziano rischiava di vedersela brutta, se non fossero arrivati in suo aiuto quei buontemponi della Compagnia de Calza» aggiunge Il Corriere della Sera. «Venezia si riappropria del Carnevale come festa popolare spontanea» commenta Claudio Pavoni su Il Messaggero. «Venezia ritorna alle sue tradizioni più antiche» spiega Alberto Francesconi su L’Unità. E Elena Manenti, su Avvenire, pone l’accento sul «recupero dello spirito genuino e popolare», mentre Luciana Boccardi su Il Gazzettino spiega che gli Antichi (secondo la sua personalissima e assolutamente arbitraria interpretazione si chiamano così perché «la maggior parte del primo nucleo è costituita da antiquari») hanno deciso di «ripristinare il burlesco rituale antico». «La prima «comanda» per chi vuole partecipare – informa Paese Sera – è quella di lasciarsi a casa la faccia di tutti i giorni». «Tutti dovranno mascherarsi, pena l’ostracismo della città» aggiunge La Notte. «La città vuol restare la protagonista prima della festa di cui è patria, e non assistervi nel ruolo di spettatrice» spiega Divo Gori su Il Mattino di Padova.
La sortita della Calza manda su tutte le furie l’assessore al turismo del Comune di Venezia. «Caro Zancopè – scrive Maurizio Cecconi al Gran Priore in una lettera del 23.12.1982 – ho visto che avete annunciato il programma della Calza e fino a qui nulla da dire. Vi sono però alcune cose che non mi paiono corrette. 1) Vi siete permessi di annunciare scelte che sono del Comune e non della Compagnia de Calza non è metodo e non è ammissibile. 2) Avete annunciato manifestazioni di vario tipo. E chi vi ha dato il plateatico? Chi vi ha dato i denari?». Secondo l’assessore, «non è metodo quello di annunciare capillarmente le manifestazioni prima dell’Ente Pubblico». «Avete voluto fare lo scoop – aggiunge – ci siete riusciti, è innegabile, ma non tutte le battaglie vinte segnano la vittoria di una guerra».
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13, 14 febbraio 1982
Venezia, Campo San Polo
Ballo Macabro
17 febbraio 1982
Venezia, Campo San Maurizio
Omaggio a Giorgio Baffo
Commemorazione del Poeta e lettura di Poesie
Zioba Grasso 18, 20, 21, 23 febbraio
Venezia, Castello Via Garibaldi
Rapatumation tra Castelani e Nicoloti
Nuove Forze d’Ercole
20 febbraio 1982
Venezia, Canale Cannaregio, Canal Grande, Riva San Biagio
Vogada di Riconciliazione tra Castellani e Nicolotti
20, 21 febbraio 1982
Venezia, Campo San Polo
Il Primo Tango a Venezia
22 febbraio 1982
Venezia, Palazzo Balbi
Sfilata Antichi Costumi Veneziani e Napoletani
22 febbraio 1982
Venezia, Campo San Polo
Venice Jazz Band in concerto
23 febbraio 1982
Venezia, Campo San Polo
Il Trionfo de La Folia
23 febbraio 1982
Venezia, Campo San Maurizio
Posa della lapide a Giorgio Baffo
sulla sua casa natale di Palazzo Bellavite
23 febbraio 1982
Venezia, Via Garibaldi
Ballare il Secolo - Musiche degli anni '20 '40 '60 '80
24, 25 settembre 1982
Napoli, Castel Dell’Ovo
Giorgio Baffo Poeta Veneziano - Lettura dalle Opere del Baffo
25 settembre 1982
Napoli, Libreria Marotta
Presentazione di Sei Incisioni per Giorgio Baffo con lo scrittore Luigi Compagnone
25, 26 settembre 1982
Napoli, Castel Dell’Ovo
Magia Veneziana Gran Balo con la Compagnia de Calza I Antichi
martedì 21 dicembre 1982
Milano, Atelier Storani
Conferenza Stampa di presentazione del Carnevale 1983