A Venezia ha vinto il toro

La corrida impossibile

L’idea era tanto geniale quanto folle. Venne a Paolo Zancopè, seduto in fondo alla sua bottega di campo San Maurizio in un afoso pomeriggio di agosto in cui non aveva proprio un casso da fare, davanti alla riproduzione di un quadro di Joseph Heinz: «Caccia dei tori in campo San Polo». «Perché non la rifacciamo?» chiese a sé stesso a voce alta. «Perché no?» si rispose. La storia gli dava ragione.

La caccia ai tori, di origine antichissima e incerta, come annotò su Venezia 7 del 18.1.1985 lo studioso Riccardo Vianello, «era tra le feste che più appassionarono i veneziani nell’arco di un millennio». Si davano in vari campi della città, da San Polo a Santo Stefano alle Chiovere di Cannaregio, talvolta nel cortile di Palazzo Ducale, raramente in piazza San Marco, e «nulla avevano in comune con le altrettanto famose corride spagnole, nemmeno i tori, in quanto solo considerati buoi». Questi venivano portati sul luogo degli spettacoli da dei «tiratori» che avevano legato delle robuste funi alle loro corna. Al segnale d’inizio, dato dal capo-caccia, uno o più cani, appositamente addestrati per morsicare le orecchie ai tori, davano l’assalto. Il toro, attaccato dai mastini, tentava il contrattacco, e il «tiratore», per aumentare lo spettacolo e dar prova di abilità, favoriva o impediva i movimenti dell’animale. La caccia terminava con il taglio della testa del toro, che veniva donata al Doge, mentre le interiora andavano all’ospedale della Pietà.

Ogni tanto, inevitabilmente, capitavano degli incidenti. Zane Cope si entusiasmò quando lesse nelle antiche cronache di un curioso episodio accaduto nel 1783, proprio in campo San Polo, durante una caccia cui partecipavano due toreri spagnoli e un torero veneziano. La caccia, scoprì, finì in malo modo per i tre matadores: i due spagnoli si salvarono a stento dalle ire dell’animale, mentre il veneziano, nel tentativo di infilzare con la spada il toro tra le corna, si ritrovò a infilzare l’animale nel sedere «tra le pazze risate del pubblico». L’improbabile torero veneziano dovette fuggire inseguito dagli spettatori più inferociti del toro. Le cacce ai tori durarono anche dopo la caduta della Repubblica e vennero proibite nel 1802 in seguito a una serie di incidenti accaduti agli spettatori.

Zane Cope disegnò il progetto di un’arena smontabile da duemila posti, una Plaza de Toros vera e propria da erigere in campo San Polo, e ideò una nuova «Caccia ai tori» che, pur con animali veri, doveva essere una demonstratione assolutamente incruenta, senza spargimento di una sola goccia di sangue, in cui undici toreri della scuola di Valencia e di Madrid avrebbero ingaggiato per tre giorni con i tori, dal 9 all’11 febbraio, «esaltanti dimostrazioni di abilità completamente disarmati», scriveva Luca Colferai su Venezia 7 del 18.1.1985. Una Novilladas sin picadores, spiegavano i giornali spagnoli, che annunciavano l’adesione del sindaco di Madrid Enrique Tierno Galvan alla corrida veneziana. «Daremo ai tori l’occasione per riscattare l’intera razza bovina incornando i toreri» spiegava Zane Cope. Il Comune di Venezia accettò entusiasta, capì e condivise. «Sarà uno spettacolo di destrezza e abilità, un gioco tra uomo e animale» dichiarò l’assessore al turismo Maurizio Cecconi. Non solo. Ottenne dagli organizzatori spagnoli chiamati dalla Calza, attraverso i buoni uffici di una coppia di appassionati veneziani, il presidente del tribunale Gino Fletzer e sua moglie, che i tori impiegati a Venezia non sarebbero più stati impiegati nelle corride. «I dieci tori che verranno usati – promise l’assessore – verranno salvati dalla morte nelle arene spagnole grazie alla corrida veneziana, perché dopo aver giostrato in campo San Polo verranno destinati alla riproduzione». Gli Antichi e il Comune ottennero da Josè Roig Bellver e Enrique Martin Arranz, rappresentanti della Scuola di Tauromachia spagnola, una dichiarazione in dieci punti in cui si diceva che «si tratta di un gioco privo di qualsiasi violenza e non di una corrida» e si prometteva che «non vi sarà alcun tipo di ferimento o danno agli animali prima, durante e dopo la manifestazione», che «non saranno dati eccitanti o altre droghe» e i tori «non saranno posti in alcuna condizione dannosa per la loro salute, né in alcun modo sottoposti a sevizie». Ma tutte queste assicurazioni non bastarono.

Contro la corrida di San Polo si abbatté, da tutta Italia e non solo, una pioggia di polemiche, dall’ente protezione animali alle più svariate associazioni animaliste. «La clamorosa ouverture del Carnevale – scriveva Gino Fantin su Il Corriere della Sera del 13.1.1985 – aveva messo a rumore mezzo mondo e scatenato le associazioni zoofile italiane in una valanga di messaggi, telegrammi, telefonate di protesta, e profilato addirittura la minaccia di cortei e manifestazioni di dissenso: le varie leghe e gruppi di tutela degli animali, gli amici del cane, il WWF, avevano preannunciato che si sarebbero incatenate davanti alle stalle dei tori. La lega antivivisezionista nazionale di Firenze aveva indirizzato addirittura un appello a Papa Wojtyla perché confermasse una bolla pontificia di quattrocento anni fa, durante il Pontificato di Pio V, che minacciava la scomunica «a tutti i cattolici che assistono e partecipano alle corride».

Di fronte a quest’alluvione di proteste il Comune vacillò, la giunta rischiò la crisi, l’assessore fece marcia indietro «per un atto di rispetto verso chi considera la corrida uno spettacolo crudele». «Non voglio che per uno spettacolo di Carnevale nascano contrasti e divisioni – spiegava – non farò niente che l’intera popolazione non voglia». Il Corriere del 13.1.1985 titolava così: «A Venezia ha vinto il toro, annullata la corrida che doveva aprire il Carnevale. Le proteste degli zoofili hanno convinto il Comune a cancellare la manifestazione». Che viva el toro!

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