Oggi non occorre più la licenza del Consiglio dei X perché si formi una «Compagnia de Calza», ma ci sono già le regole, lo statuto e il Priore.
Se rileggiamo la storia vediamo che queste Compagnie organizzavano festeggiamenti, balli, mascherate, regate e addirittura finte battaglie navali fino ad arrivare a diventare parte importante della città.
Anche oggi ne esistono a Venezia seppure diverse nell’origine e nei modi da quelle antiche.
Se è vero che Carnevale «ga da essar dei venessiani» allora diventa importante il grande spazio scenico del campo, del cortile, della calle, della piazza. Importante perché non vi recita a soggetto la «compagnia» ma, pure se con timidi o forti suggerimenti vi sta la gente che a Carnevale vuole essere e deve essere protagonista, attore di uno spettacolo originale.
Ci si muove quindi in uno spazio ristretto in cui è facile cadere nel professionismo teatrale o musicale e d’altra parte si rischia sempre lo «strapaese». Ma la Compagnia de Calza «I Antichi» ha voluto, con sforzi considerevoli che a volte sono riusciti pienamente, dare un suo contributo in questo senso con alcune parole d’ordine. Cerco di interpretarle a mio modo.
La prima è «Venezia», tolta da ogni agiografia. La Venezia che è sì tradizione ma anche modernità, qualità e soprattutto produzione dei suoi abitanti e quindi vivacità. La seconda è «riappropriarsi» e cioè recitare un ruolo come veneziani, come produttori di spettacolo non soltanto come spettatori. La terza è qualità e non sempre può riuscir bene, ma a volte – mi ricordo Clemencic – è un fatto realmente importante per ricordare che il palcoscenico «normale» vale, è importante, va considerato. La quarta è «autonomia» non segretezza ma contare sulle proprie forze.
Su questi quattro simboli vedo la lotta dell’«ogni giorno» della Compagnia de Calza I Antichi. Forse non sempre si raggiungono i risultati sperati ma – come diceva qualcuno – la felicità deve essere nel cammino e non nel destino.
* Assessore al turismo del Comune di Venezia, 1984